Cessione del credito, gli effetti sul bilancio aziendale

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La cessione del credito è un’operazione sempre più frequente in Italia. Trasferire a un soggetto terzo la titolarità di un credito difficile da riscuotere può infatti presentare diversi vantaggi per ambo le parti, soprattutto quando il creditore è un’azienda, che deve rispettare precisi obblighi nella gestione del bilancio e della liquidità, a tutela dell’azienda stessa e dei suoi dipendenti.

Nella pratica commerciale, i crediti vengono generalmente ceduti a un prezzo inferiore rispetto a quello nominale. Quando si tratta di crediti la cui riscossione è difficile, a causa delle inadempienze o delle difficoltà economiche del debitore, il valore del credito ceduto può scendere fino al 20% del valore iniziale.

Al momento di fissare il prezzo, le parti tengono conto delle effettive possibilità di recupero e della modalità di cessione, che può essere pro soluto o pro solvendo. Nella prima il cedente è tenuto soltanto a provare la reale esistenza del credito, nella seconda deve anche garantire la solvibilità del debitore.

Il creditore che cede, com’è facile intuire, perde dei soldi; al tempo stesso, però, rientra subito di una parte del capitale incagliato ed evita di continuare a sostenere i costi e le lungaggini burocratiche di un infruttuoso tentativo di recupero totale del credito. Tante imprese ricorrono a questa operazione per assicurarsi nell’immediato disponibilità di liquidità, per dedurre fiscalmente la somma ceduta e per avere un bilancio pulito e trasparente, secondo le precise disposizioni di legge in materia.

Chi acquista l’onore e l’onore del credito – generalmente un istituto di credito o un’agenzia professionale specializzata – ha la possibilità di realizzare un utile, se riuscirà recuperare dal debitore una somma superiore al prezzo pagato per acquisire i diritti sul debito. Ovviamente, può anche andare incontro ad una perdita se, come il primo creditore, non riuscisse nei tentativi di recupero.

Cessione del credito: gli aspetti fiscali

Le operazioni pro soluto e pro solvendo sono considerate esenti IVA. Riguardo al regime IVA per cassa, la cessione del credito, come notificato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 1/E/2013, “non realizza il presupposto dell’esigibilità dell’imposta”: l’incasso del prezzo di cessione del credito non è a fini fiscali assimilabile al pagamento del corrispettivo da parte del debitore. Il creditore che cede è tenuto a versare l’imposta sulle fatture che hanno generato i crediti ceduti solo nel momento in cui il debitore pagherà effettivamente il creditore subentrato, non prima. Spetterà al cessionario, perciò, avvisare il cedente dell’avvenuto incasso del credito in questione.

In caso di cessione pro solvendo, la perdita derivata dalla cessione non è deducibile. Lo è invece nelle cessioni pro soluto, a patto che la cessione del credito sia effettuata ad una banca o altro intermediario finanziario abilitato.

La cessione dei crediti nel bilancio aziendale

Se viene trasferito in modalità pro soluto, il credito va eliminato dal bilancio. La differenza tra il valore nominale del credito iscritto a bilancio e la somma incassata con la sua cessione determinerà la perdita conseguita con la cessione.

Per la copertura delle perdite è possibile utilizzare un fondo precostituito di svalutazione crediti, considerando poi ai fini contabili la differenza tra il valore nominale del credito e il relativo fondo svalutazione. Se, ad esempio, su un credito di 100 è acceso un fondo di 50, il valore netto contabile del credito ammonta a 50; cedendolo a 80, si realizzerà una plusvalenza di 30. In questo caso a bilancio andrà iscritto il conseguimento di un utile e non di una perdita.

Se, invece, viene ceduto in modalità pro solvendo, coi relativi rischi di insolvenza che rimangono in capo a chi cede, il credito non dovrà essere eliminato dal bilancio.